In cucina

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L’enogastronomia per lo sviluppo del turismo bolognese fra integrazione e continuità

Anche quest’anno con grande piacere colgo l’invito del Club degli Apostoli della Tagliatella a presentare il punto di vista e le azioni che nel tempo il mio Assessorato ha realizzato per valorizzare l’enogastronomia bolognese. I nostri progetti per la valorizzazione dell’enogastronomia sono stati costruiti secondo i comuni denominatori dell’integrazione e della trasversalità che sono fattori imprescindibili per produrre risultati efficaci, efficienti e duraturi, in particolare nell’ambito della promozione e valorizzazione dei prodotti agroalimentari, dell’enogastronomia e del territorio d’origine. In funzione del nutrito gruppo di attori, che con ruoli e responsabilità diverse intervengono sulla materia, si è assunto, come obiettivo strategico di ciascuna azione, quello di favorire la nascita e rendere operativo un sistema integrato fra enti ed istituzioni. Un altro punto cardine è la durata dell’azione: gli interventi, infatti, debbono essere programmati in un arco temporale pluriennale tale da accompagnare i processi di adeguamento delle imprese a promuovere nuovi atteggiamenti culturali sia sul fronte dell’imprenditoria che dei consumatori. Entrambi i soggetti debbono sviluppare la consapevolezza del ruolo cruciale che l’enogastronomia di qualità può rivestire in quanto valore aggiunto per tutti i più tradizionali servizi di accoglienza turistica. Gli esperti di marketing hanno di recente evidenziato quanto siano correlate l’adesione a sistemi volontari per la qualità dei prodotti/servizi forniti dalle imprese e la soddisfazione del consumatore; quest’ultima si traduce in un positivo riconoscimento economico da parte del mercato, che spinge gli imprenditori ad investire e a comunicare sulla qualità. È chiaro che un simile processo deve essere sostenuto da risorse economiche certe e con carattere di continuità, fattori che, purtroppo, nella realtà di questi ultimi anni si accompagnano a discontinuità e incertezza. Su questo tema il nostro più importante intervento è senza dubbio il progetto DegustiBO che ho descritto in queste pagine gli anni scorsi e del quale vorrei fornire gli aggiornamenti più recenti. Attualmente le imprese che possono fregiarsi del marchio sono 84, organizzate per categoria; 18 agriturismi, 23 ristoranti, 11 botteghe alimentari, 10 forni, 8 negozi di pasta fresca, 4 gastronomie, 7 macellerie e 3 ortofrutta. Si tratta di imprese per lo più a conduzione familiare, molto spesso con una bella e lunga storia alle spalle, fatta di impegno e ricerca per la qualificazione dell’offerta nei confronti di un cliente tenuto in grande considerazione e con il quale si tende ad instaurare un rapporto basato sulla fiducia e sulla reciprocità. Circa un terzo è ubicata in città, le altre sono diffuse sul territorio, dalla “Bassa” ai comuni più alti dell’Appennino; una bella e variegata offerta che intendiamo far crescere sia in termini numerici che di qualità. L’ultima nata fra le iniziative realizzate per promuovere il nostro marchio DegustiBO è la creazione di un sito dedicato e interattivo: www.degustibo.it che vi invitiamo a visitare per conoscere le imprese aderenti, le loro storia, quella del territorio che le ospita e le specialità offerte nei menu di stagione o sui banchi delle botteghe. I componenti del Club degli Apostoli della Tagliatella, in quanto cultori del buon gusto, potranno sicuramente fornirci commenti e suggerimenti utili alla valorizzazione di questa iniziativa.

Gabriella Montera
Assessore provinciale Agricoltura
 

I Vigneti dei Colli Bolognesi

Se il rosso Sangiovese è l’anima enologica della Romagna, il bianco Pignoletto è la bandiera enologica dei Colli Bolognesi, forse dell’intera Emilia. Perché per ritrovare un bianco di territorio, salendo la via Emilia verso nord, bisogna arrivare a Parma e Piacenza con le loro Malvasie frizzanti e gli Ortrugo. I Colli Bolognesi si protendono sulla pianura tra Bologna e Modena come balconate naturali, punteggiate da pievi e abbazie, ma anche sorvegliate da solide, paciose case rurali. Qua e là spuntano tra gli alberi secolari anche ville e palazzi nobiliari. Qui la vigna è vecchia di secoli, quasi quanto il buen retiro collinare delle ricche famiglie bolognesi, dedite ai commerci o alle professioni liberali. Ma produrre vino è anche passione e necessità delle famiglie dei mezzadri e dei coltivatori dell’area, che ai proprietari ‘di città’ - gli Albergati, i Marescalchi, i Ranuzzi, i Malaspina o i Cavazza Isolani - conferivano oltre che latte, burro, carne, polli e uova anche tante bottiglie di bianco e rosso per accompagnare i piatti della succulenta cucina petroniana. Luogo di deliziose villeggiature ma anche di operosa vita in campagna, di appassionate sperimentazioni vitivinicole i Colli Bolognesi, a tratti morbidi, ma anche aspri di calanchi, di inestricabili boschi. Un mix geoclimatico che l’agronomo-enologo Federico Curtaz giudica molto vicino, soprattutto per quanto riguarda la composizione del suolo, al suo Piemonte (non a caso, anche sui Colli Bolognesi una delle uve più anticamente diffuse è la Barbera). Storicamente, questa è zona vocata alla vite: i primi documenti al riguardo sono delle abbazie di Monteveglio e Nonantola, e risalgono al 973 e al 1033. Sui vini dei Colli regna il Consorzio di tutela, costituito nel 1971, che detta regole e disciplinari e che custodisce un’eredità secolare. Tradizioni antiche, strumenti moderni. Fra i primi in Italia qui si è applicata la completa tracciabilità del vino in ogni singola bottiglia e, dal 2004, viene attuato un Piano di controlli che va dalla verifica degli impianti in campo, al rispetto delle regole produttive, fino alla bottiglia sullo scaffale di una enoteca o sulla tavola di un ristorante. A tutela del consumatore il Consorzio ha istituito un ulteriore strumento di tracciabilità attraverso Internet. L’attuale zona doc si estende anche sulle colline a sud della città, immediatamente a ridosso delle ultime case cittadine all’interno del Comune di Bologna, e a sud est, fino al comune di Monterenzio, ormai in ‘odor’ di Romagna. Il re dell’area è un vitigno bianco autoctono, il Pignoletto più noto nella versione frizzante ma adesso apprezzato anche come bianco fermo e insignito recentemente della fascetta rosa Docg (denominazione controllata e garantita), il top della qualità dell’enologia nazionale. Accanto al re Pignoletto, altri bianchi di personalità e profumi come Sauvignon, Riesling e Chardonnay. E tanti rossi che qui hanno trovato felice espressività: Cabernet Sauvignon, Merlot, Barbera fermo e ‘vivace’ e, recentemente, la novità delle bollicine e dei passiti, sempre da uve Pignoletto. Un tempo qui si veniva a rifornirsi di vino in damigiana, adesso sono quasi 40 le cantine che portano in giro per l’Italia e per il mondo l’immagine enologica di Bologna. E una dozzina di vigneron abitano stabilmente le zone alte delle classifiche del vino sulle Guide del buon bere. I Colli Bolognesi propongono vini di territorio e dall’ottimo rapporto qualità/prezzo accanto a prodotti tipici che incentivano il turismo enogastronomico. Come resistere alla magia del tartufo bianco di Savigno, dei salumi artigianali e del Parmigiano-reggiano che qui sono di casa e, durante l’estate, alla ricchezza di frutta come ciliegie e prugne. Le antiche ville sono diventate in molti casi agriturismi dove la vacanza è ‘slow’ e si può gustare una cucina di territorio davvero ‘a chilometri zero’.

Lorenzo Frassoldati
Giornalista